di Alessandro Vettorato
Sono nato 22 giorni fa. Faceva ancora freddo e mi sono rifugiato nella lana calda di mamma.
Ho capito subito, appena
nato, che fosse lei dal modo in cui mi ha leccato sulla testa, da come
mi ha chiamato e, soprattutto, da come mi ha guardato.
I primi giorni li ho passati nel tepore del suo respiro. Era bello chiudere gli occhi e sapere che lei era lì.
Sono nato 22 giorni fa
e, tutto attorno a me, altri agnellini. Dall’alto avremmo potuto essere
scambiati per nuvolette. Correvamo per i prati, rendendo soffice l’erba
che nasceva, rendendo soffice il richiamo di mamma, impigliato fra le
fronde degli alberi ed il mio cuore.
Qualche giorno fa ho
chiesto a mamma se fossi figlio unico. Lei ha sospirato e non ha
risposto. È diventata all’improvviso triste e se ne è andata via.
Quella sera mi si è avvicinata una vecchia pecora, con il vello tutto stopposo, ma con gli occhi saggi.
Mi ha detto che ogni
pecora non ha mai un solo figlio. Mi ha detto che ogni pecora è madre
ogni anno e che ogni anno… ma poi non ha voluto continuare, gli occhi le
si sono inumiditi, ha dato la colpa al freddo della sera e se ne è
andata anche lei.
22 giorni.
Abito in un prato con la
mamma, tante altre mamme pecore e tanti altri agnellini. Lo spazio non è
enorme, a volte mi chiedo cosa ci sia al di là dello steccato, ma sono
troppo impegnato a correre, giocare, mangiare, dormire, sognare per
pensare ad altro.
Sono diventato amico di
tanti animaletti. Talpe, ricci, galline, un tasso, qualche uccellino.
Sono questi ultimi, però, che, ogni volta che parlo del futuro, di come
mi cresceranno le corna in testa, di quanto sarà folto il mio vello da
grande si lanciano strane occhiate e sospirano. Se chiedo il perché di
ciò volano via.
22 giorni.
Mi sembra ieri quando ho aperto gli occhi per la prima volta ed ho assaggiato il latte della mamma.
La mamma ha lo sguardo pensieroso. Mi guarda come se dovesse non vedermi più.
Quando fa così vado da
lei e le appoggio il muso sulla pancia. La sento respirare. La mia mamma
è una culla. Mi addormento e faccio bei sogni.
22 giorni.
Qualche giorno fa sono
scomparsi degli agnellini. È tutto talmente strano. Il giorno prima
giocavano con me, il giorno dopo non c’erano più. sono andato a
cercarli, ma il prato non è così grande e le sbarre troppo alte perché
siano saltati dall’altra parte.
Perché non sono venuti a salutarmi? Siamo amici.
Le loro mamme piangono
in un angolo della stalla. Hanno il muso tutto sporco di fieno e non
vogliono mangiare. Incrocio lo sguardo di mamma. Mi sta guardando. Ha
gli occhi stanchi. Vorrei chiederle qualcosa di questa situazione, del
perché quelle mamme piangano, ma lei se ne va via.
22 giorni.
Altri agnellini sono
scomparsi. C’è agitazione fra di noi. Tutti bisbigliano, nessuno bela a
voce alta. Noi agnellini stiamo in gruppo e cerchiamo di capirci
qualcosa, ma nessun adulto sembra volerci dare delle spiegazioni.
22 giorni.
Ho ancora gli occhi
impastati di sogni quando gli esseri strani a due zampe entrano nella
stalla e mi svegliano. Non lo fanno molto delicatamente, mi rovesciano a
testa in giù e mi tirano su per le zampe. Mi fanno male, cerco di
farglielo capire belando, ma quello che mi ha preso mi scuote, dice
delle cose in un linguaggio strano, sembra arrabbiato. Cerco mamma con
lo sguardo, la trovo, lei è sveglia e sta belando forte. Mi dice che mi
vuole bene. Mi dice che sarò sempre il suo bambino. Mi dice che non mi
dimenticherà. Mamma piange. Mi portano via. Il mondo a testa in giù è
anche divertente da vedere, ma non voglio che mamma sia triste. Le mani
che mi tengono le zampe stringono, fanno male. Vedo che stanno portando
via anche altri due agnellini.
Dove ci portano?
Siamo fuori. Siamo fuori
dal prato. Abbiamo superato le sbarre. Forse questo significa diventare
grandi. Avere il vello folto. Ma la mamma mi manca.
Volto la testa verso il
prato dove sono nato, voglio vederla, forse è lei con il muso infilato
fra le sbarre che mi chiama, che mi chiama, poi entriamo in una stanza e
qui ci sbattono a terra. Che posto strano. Ci sono dei ganci che
pendono dal soffitto e ci sono delle macchie scure sui muri. Mi
avvicino, ne annuso una, è un odore pungente che mi ricorda il sangue,
ma non può essere sangue, sono macchie troppo grandi, poi quello strano
essere che chiamano uomo afferra uno dei miei amici agnellini per le
zampe, lo lega al gancio, fa lo stesso anche con l’altro, poi è il mio
turno. Mi divincolo, ho paura, voglio la mamma, ma quelle braccia sono
troppo forti e lo vedo, l’uomo, lo vedo mentre belo e piango a testa in
giù, lo vedo che prende un oggetto da un tavolino, si avvicina a me, mi
prende per la testa, me la solleva e l’ultimissima cosa che ricordo,
prima che tutto diventi scuro, è che quando sono nato ed ho cercato di
mettermi in piedi sulle zampe il muso di mamma era lì, a sostenermi, ed
io ho pensato che ci sarebbe stato tutta la vita.
P.S.: 22 sono in media i giorni che vivono gli agnelli destinati ad essere ammazzati per pasqua
2 commenti:
Tradizione idiota per gente a cui in linea di massima non frega niente di Pasqua.
Di nuovo bentornata, mia carissima Amica!
Questa tradizionaloide strage di teneri cuccioli neonati è davvero ripugnante: sarebbe ora d'inventarsi rituali nuovi e più simpatici...
Un abbraccio.
p.s. Mi permetto di segnalarti la nascita del mio ultimissimo romanzo: lo faccio perché so di non arrecarti disturbo:
http://zioscriba.blogspot.com/2021/03/nicola-pezzoli-il-testamento-cangiante.html
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